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Danika Walker Abercorn

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MessaggioTitolo: Once upon a time a Black Dahlia - La mia storia. ©   Once upon a time a Black Dahlia - La mia storia. © Icon_minitimeGio 7 Lug 2011 - 8:46

Un uomo molto saggio mi disse: «Non avere paura delle tenebre, Danika. Anche l’universo, nella sua immensità, se fosse completamente illuminato, non darebbe la possibilità alle costellazioni, anche quelle più piccole e indifese, di brillare. Abbi il coraggio di usare la tua luce. Falla conoscere al mondo.»
Avevo sotto nove anni quando mio padre mi strinse tra le braccia e mi rassicurò con queste parole. Quella mattina – ricordo vivamente ancora oggi ogni singolo dettaglio, avevo morso per la prima volta un’ umana. Una mia compagna di classe, per giunta. Non avrei dovuto farlo, lo so, ma quella lì era proprio una stronza attaccabrighe, e la parte animalesca insita in me emerse con facilità. Come se l’ira, la frustrazione e la Sete dominassero le mie azioni in un punto di non ritorno.
Ciò detto, capite bene che la mia storia non è semplice. Ci sono punti oscuri che hanno macchiato irreversibilmente alcune esperienze della mia esistenza.
Quindi sedetevi comodi e guardatemi negli occhi, per quanto vi è possibile.
Per prima cosa, sono aristocratica. E già, forse il sangue blu è l’unica cosa che ho di aristocratico; vedendomi, se non vesto eccezionalmente elegante per qualche sporadico evento mondano, molto probabilmente mi scambiereste per una corsara nera o per una specie di Harley Quinn senza la chioma bionda e i disegni sulla faccia, con la camminata a volte decisa, a volte scadenzata. Dipende dai casi.
Ecco, non sono propriamente il prototipo di ragazza che la società richiede dalle famiglie d’oggi con tanto di pezzo di listino sulla faccia. Non pretendo nemmeno di essere definita “strana”, “un’implacabile stronza” o cose simili. Io non lo sono; semplicemente, ho solo bisogno di essere me stessa. Ci sono tante persone in giro che si vantano di essere campionesse mondiali di bastardaggine e di acidità, arriviste dai fianchi sottili e atlete indiscusse del sesso. Ma un buon 99 % dei casi è tutto fumo e niente arrosto. Guardatevi in giro, osservate bene chi vi circonda.
Ritorniamo a noi. Stavo dicendo… Oh, sì. Adesso arriva il pezzo forte. Mia madre è una vampira. Non avevo anticipato questo dettaglio, vero? Non preoccupatevi, stiamo parlando di vampiri veri, quindi scordatevi la pseudo versione romantica a cui siete abituati. Mia madre si chiama Lucrezia Abercorn,originaria delle verdi colline della Scozia. È una nobildonna dalla pelle eburnea e dalle iridi cremisi, sposata con un altrettanto fascinoso vampiro, il Duca Mirco DePalma.
E io cosa c’entro in tutto questo? Diciotto anni fa, mio padre Kenneth, un cantante rock inglese fissato con i pianobar e i night club pullulanti di succhiasangue, ebbe un’intensa relazione con Lucrezia; non so perché hanno troncato, sinceramente. Forse perché lui era un umano con una strana propensione per la caccia ai vampiri? Non ne ho idea. Resta il fatto che io ne ho subito le conseguenze: non essendo una purosangue, dovrò un giorno affrontare la trasformazione completa che mi tramuterà in vampira. Ogni giorno conto i minuti che mi separano da quel momento inevitabile, ma non con ansia, come potreste pensare. Ne ho il timore perché non so realmente cosa mi succederà in futuro. Però, sorpresa sorpresa, i canini non mi mancano, e con essi nemmeno la super velocità e il potere del teletrasporto. Sorprendente, non vi pare? Ok, le mie forze non sono al completo - come è consono per un vampiro purosangue, ma lo saranno presto. La calma è la virtù dei forti.
Ho vissuto tutti questi anni con mio padre e saltuariamente con mia madre, sbattuta a destra e a sinistra per rispettare le regole d’affidamento. Kenneth aveva una squadra di cacciatori molto ben nutrita, volontari prevalentemente. I membri del team inizialmente mi odiavano, poi hanno imparato a conoscermi e il clima è diventato man mano sempre più sereno e vivibile. Inoltre devo ringraziare lo stesso Kenny per avermi insegnato a destreggiarmi con le arti di combattimento e a controllare la Sete; ogni tanto bevo sangue umano perché devo, altrimenti finirei per azzannare letteralmente qualcuno. A lui non piace; l’ho notato dall’espressione declinante che assume ogni volta che mi riempio la tazza di liquido rosso, fino all’orlo.
Mia madre si preoccupa per me e continua a ripetermi che tutto ciò è necessario, almeno fino al completamento della trasmutazione. Dopotutto non posso lamentarmi. Ho una famiglia premurosa, anche se divisa, che mi ama, e questo vale più di tutto l’oro del mondo.
E, come se i guai non capitassero mai per caso, qualche mese fa la squadra di mio padre ha subito un agguato da un gruppo di demoni Lacerta.
Nessun sopravvissuto, a parte me.
La sera stessa avevamo ricevuto una soffiata. I demoni in questione si erano riuniti nei sotterranei di un edificio abbandonato in fase di demolizione. Siamo stati ingannati: ci stavano aspettando da un pezzo solo per farci fuori.
Con una falciata di mitragliatrice, i cacciatori della prima fila caddero per terra come fiocchi di neve, i volti resi pallidi dalla morte e intrisi di sangue erano irriconoscibili a causa della mordacità dei proiettili.
Non realizzai cosa stesse succedendo e, con una calma plateale, accorsi in loro aiuto non appena la parola “massacro” aleggiò nella mia mente. Toccai delicatamente la pelle dei loro visi, umida, lucida e fredda come una superficie cristallizzata. “La morte arriva in questo modo”, pensai, mentre i loro corpi sembrano diventare sempre più piccoli e indifesi.
Non ebbi il tempo per sguainare le armi, pugnali o sai che fossero. Ricordo solo che l’oscurità coprì la mia visuale e non vidi più niente.
Sapevo solo una cosa: erano tutti morti.
Per una settimana rimasi chiusa in una cella e venni seviziata nei peggiori dei modi. Fui sottoposta a torture standard perché volevano sapere chi fossi, in quanto non credevano alla falsa dei miei documenti. Poi, per loro, una vampira che uccide i suoi stessi simili con così tanta enfasi era un evento raro.
Durante la mia prigionia non mi risparmiarono nulla. Pugni, schiaffi, elettroshock, stecche di legno sotto le unghie, vasche riempite d’acqua fredda. Sopportai tutto, ringraziando la mia buona stella. Anche se mi avessero uccisa, avrei attraversato l’aldilà con sicurezza imperiale, senza tentennamenti; anzi, avrei preferito che la mia testa fosse esposta come pubblico esempio, così come disse Danton prima di essere ghigliottinato in nome del Terrore.
Ma una notte fosca e brumosa, fecero entrare una donna minuta e terrorizzata nella mia logora stanza: era Bianca, la segretaria di mio padre. Piangeva a dirotto, le guance scavate, le rughe rese più evidenti dalla paura, il tremolio incessante delle labbra, gli occhi stralunati che anelavano salvezza. La mia mente divenne una centrifuga di dubbi irrisolvibili. Volevano nutrirmi? Volevano uccidermi? Volevano torturarmi ancora facendomi annusare sangue umano che non avrei mai potuto assaporare?
A questo punto vi starete chiedendo chi fossero i mandanti dei demoni Lacerta che desideravano tanto conoscere la mia identità. All'inizio credevo fossero lycan; ne avevano l’odore nauseabondo. Ma, aguzzando l’olfatto, mi resi conto che erano demoni a tutti gli effetti. Allora, non so come, capii che Satana in persona era venuto a cercarmi.
Voleva me, solo me, e non ne capivo il motivo.
Tenendo lo sguardo fisso sulla donna impaurita, mi impossessai di una sicurezza, di una forza, di una fede così potente da superare ogni cosa. Mi sentii libera e fui irresistibilmente, totalmente vampira.
Ho ancora dei flash fugaci nella mia mente: pozze di sangue, brandelli di carne, organi lacerati sparsi sul pavimento, tende strappate e svolazzanti nel vento, lamenti strazianti, imprecazioni, mani cremisi che cercavano la mia compassione. Da me non l’avrebbero mai avuta.
Riuscii a sfuggire da quella situazione stagnante e liberai Bianca che scappò per strada delirando come una povera pazza. Non cercai di fermarla.
Dunque, oggi chi sono? Una cacciatrice mezzosangue, che combatte nei ring infernali e fa stragi di creature della notte irrispettose delle leggi. In città mi chiamano “Black Dahlia”. Si dice che l’invio di un mazzo di dalie bianche simboleggi un lieto evento; ma la mia anima è nera, così oscura che persino il Diavolo stesso mi dà la caccia. Quindi, se sentirete i miei passi echeggiare dietro di voi, fate attenzione. Non sarà certamente un favorevole presagio.


Once upon a time a Black Dahlia - La mia storia. © Woman_10
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